Associazione di Volontariato a Pistoia

gli asini rivista di educazione e intervento sociale

Inventare il futuro

di Goffredo Fofi

Lettera aperta per la tavola rotonda Il sociale al tempo della crisi

Napoli,7 dicembre 2011.

Le leggi buone sono in genere il risultato di lotte popolari vaste lunghe irruenti, e vengono conquistate a duro prezzo. Ma oggi, in assenza di grandi movimenti di lotta, almeno per il momento, la democrazia elettorale funziona attraverso l’elezione di “rappresentanti del popolo” che si affermano grazie a varie forme di manipolazione del consenso e varie forme di corruzione, attraverso l’uso e abuso della propaganda mediatica e attraverso il ricorso a complesse e ramificate reti clientelari. Alla generale corruzione del ceto politico (senza dimenticare l’insipienza e le complicità dei piccoli partiti che si dicono di sinistra, di cui ci siamo fidati anche troppo in passato), nella crisi presente le nostre classi dirigenti si sono accorte che occorreva prendere in mano le redini della situazione per evitare i disastri maggiori. In questi giorni, le leggi che verranno varate dal nostro parlamento per reagire alla crisi, sono di tutta evidenza quelle che la classe dirigente si dà per la propria salvezza e per la continuità di un sistema. Queste leggi, si dice, tutti sono chiamati a rispettarle, ma esse non cambiano affatto il vecchio gioco dei “due pesi e due misure”: colpiscono soprattutto chi sta in basso, valgono per chi non ha i mezzi e non conosce le astuzie per evaderle. Non è detto peraltro che siano migliori i “tecnici” dei “politici”, o per meglio dire, come in questi giorni molti per fortuna hanno detto, non è detto che i rappresentanti diretti dei “poteri forti” (per esempio finanza, consorterie consolidate e poco visibili che possiamo anche chiamare massonerie, e gerarchia cattolica) siano meno pericolosi dei “politici”.

La situazione che si è aperta quest’estate, prevista con questa violenza e rapidità da pochi, sta costringendo gli italiani a svegliarsi da un dormiveglia durato trent’anni, e c’è da aspettarsi che in qualche modo essi reagiranno, colpiti nelle loro sicurezze e alcuni in sicurezze davvero minime.

Non possiamo prevedere cosa succederà e come riuscirà a reagire un popolo che, perlopiù consenziente, è rimasto in stato di anestesia per così tanto tempo. Possiamo però dire cosa potrebbero fare delle minoranze determinate e lucide. Di questo hanno già parlato o parleranno molti degli intervenuti di oggi, ma io vorrei insistere, da “non politico” e da “non teorico” e sulla sola base di una assidua osservazione dei fenomeni sociali e di una assidua partecipazione a molte iniziative “dal basso” nei decenni passati, vorrei insistere non solo sulle lotte che sarà indispensabile fare per la difesa degli interessi dei più colpiti, continuando a stare al loro fianco, partecipando alle loro risposte nei modi che essi saranno disposti ad accettare e di cui noi condivideremo fini e modi. Vorrei insistere anche sull’indispensabile lavoro di chiarificazione (che vuol dire studio e analisi e proposta, non solo denuncia delle tante storture cui si assisterà) che tocca alle minoranze avvertite svolgere – un lavoro insomma di chiarificazione e di “agitazione”. Ma credo che occorra insistere soprattutto sulle forme di autorganizzazione che, in prima persona e non solo in aiuto ad altri, dovranno venir considerate seguendo dei modelli peraltro già esistenti ed evitando di rifare gli errori del passato. Negli anni passati infatti il terzo settore e le associazioni dette di volontariato hanno avuto una storia significativa, piena di novità e per buona parte positiva, ma si sono troppo spesso avvilite da sole accettando compromessi che non avrebbero dovuto accettare in cambio di protezioni e finanziamenti che hanno magari rafforzato queste organizzazioni ma burocratizzandole e isolandole. Pochi privilegi in cambio di non dar fastidio…

E però molte iniziative gruppi associazioni hanno resistito e resistono, e possono servire da modello a quelli che possono nascere oggi in risposta alla crisi. Bisogna contare sulle proprie forze, si diceva un tempo, e però costruire non solo piccole associazioni dove il sentimento della comunità e della solidarietà non si spengano mai, ma reti di associazioni, luoghi di confronto e di organizzazione per le difese comuni, per le azioni comuni. Diffidando per molto tempo della politica istituzionale e dei nuovi partiti e partitini che ostinatamente continueranno a proliferare sul terreno malato delle istituzioni repubblicane, cercando in noi stessi la nostra dignità e la nostra salute.

Non ci verranno aiuti dall’alto, siamone certi, e dunque occorre che dal basso, orizzontalmente, nascano gruppi e crescano iniziative e interventi, e che essi riescano a collegarsi tra di loro dentro lotte più generali, segnate quanto al metodo dalla disobbedienza civile quale teorizzata dai Gandhi e dai Capitini ma anche da tante esperienze storiche, anche recenti, del movimento operaio e dei movimenti per i diritti, uno strumento di lotta fondamentale che, se bene utilizzato, è in grado di rispondere adeguatamente alle prepotenze del potere. I nostri fini dovrebbero cercare di compenetrarsi con i nostri mezzi, di non essere diversi da quelli per non ripetere errori di sempre e per non consegnarci a leader ambigui e a ideologie astratte e insensate.

Più in generale, sono convinto che si debba insistere su una constatazione che mi pare importante sottoporre soprattutto all’attenzione dei più giovani tra noi. Si è chiusa un’epoca, definitivamente, e se ne sta aprendo un’altra che non promette nulla di buono, un’epoca che potrebbe essere per tanti aspetti perfino più tragica di quella attuale e di tanta parte del Novecento. E però questa novità ha in sé qualcosa che può apparire perfino entusiasmante. Si tratta niente di meno che di inventare il futuro, con nuovi modi di lottare sperimentare costruire proporre. Certamente tra grandi difficoltà, ma con la persuasione che il nostro pensare il nostro studiare il nostro agire possono davvero servire a qualcosa di importante, in collegamento con altri gruppi nel vasto mondo. Invece che farsi vincere dalla sensazione di impotenza e di inutilità che tanti di noi hanno sofferto negli ultimi anni, oggi si può davvero portare un contributo essenziale alla definizione del mondo che verrà, lottare per qualcosa di nuovo che siamo noi a dover definire. Dipende da noi.

Il nemico è forte ma la crisi ha dimostrato la sua debolezza, e esso può essere, anche in Italia, se non vinto almeno condizionato. In ogni caso, chi non accetta la sua logica può oggi dimostrare il proprio valore con la capacità di resistere, di costruire delle alternative concrete, di elaborare delle proposte convincenti per il futuro assetto del mondo e di trovare sul terreno della lotta fratelli e compagni in numero sempre crescente.